Piccole tessere di un grande mosaico: l'Udienza ai Movimenti e alle Associazioni popolari
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di Valeria Formenti
C’è fermento nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico, a Roma. Gli affreschi sulle volte e sulle pareti circondano un brusio concitato. Qui riuniti ci sono circa trecento membri di diversi movimenti e associazioni popolari che hanno richiesto insieme un’udienza per incontrare il papa neoeletto. L’attesa per il suo arrivo non appare vuota, dai brevi scambi con chi mi è intorno percepisco che è piena di curiosità e domande, che immagino essere simili un po’ per tutti: cosa ci dirà? Quale messaggio comune vorrà lasciare a un gruppo all’apparenza così eterogeneo? La chiusura delle porte laterali della sala, a cui si accompagna il calare del silenzio, è il segnale dell’imminente arrivo del Santo Padre. Al suo ingresso, un lungo applauso carico di emozione riempie tutta la sala; si leva anche, tra la gente, la voce di un bambino, piccola ma nitida, che lo chiama per nome e poi con l’appellativo di «re bianco», strappando a tutti una sommessa risata per la sua spontaneità.
Torna il silenzio, carico d’attenzione, ma solo per poco: non appena, ascoltando il discorso, viene nominato papa Francesco, un secondo applauso coinvolge nuovamente tutti i presenti. Non è solo una dimostrazione d’affetto per la sua mancanza, ma anche il riconoscimento che l’incontro di oggi si pone in continuità con il suo operato, in particolare con la sua presenza all’«Arena di Pace» tenutasi a Verona lo scorso anno, con la partecipazione dei medesimi gruppi oggi qui riuniti. Fluiscono chiare ed espressive le parole del pontefice, che mette al centro del suo discorso il binomio pace-alterità. Infatti, afferma, solo con «cuori e menti allenati e formati all’attenzione verso l’altro e capaci di riconoscere il bene comune» è possibile camminare verso la pace, che «è un bene indivisibile, o è di tutti o non è di nessuno». In questo contesto ha sottolineato il ruolo dei movimenti e delle associazioni popolari che, ognuno nella propria realtà, si mettono al servizio del bene comune, diventando «testimoni di uno stile di vita diverso, nonviolento». Ha, infine, auspicato la preparazione di istituzioni di pace, come fondamento della pace stessa, che è possibile ripartendo dalla costruzione di un «noi». Per questo ha incoraggiato «all’impegno e ad essere presenti: presenti dentro la pasta della storia come lievito di unità, di comunione, di fraternità».
Terminato il discorso, mentre il papa lascia la sala, tra applausi e saluti, immagino nascere nel cuore dei presenti una certezza: il nostro essere lì non è stato solo per ascoltare delle parole, per quanto ricche e incoraggianti, ma anche, e forse soprattutto, per incontrarci, guardarci negli occhi, scambiarci parole, condividere un momento importante insieme. Eravamo tanti gruppi diversi per origine e struttura, eppure penso sia stato possibile per tutti rispecchiarsi nelle parole ascoltate. Credo che il frutto più importante dell’incontro sia stato proprio questo: far nascere in ciascuno la certezza che, anche se ciò che si fa nelle proprie realtà può sembrare piccolo e quasi irrilevante, in verità non lo è, perché è parte di un qualcosa di più grande. È stato bello che il Santo Padre abbia voluto dare spazio a tante realtà piccole e diverse, unite però da una direzione comune.
Mentre lasciamo la sala, colgo, tra il vociare ancora emozionato, un’affermazione che sento vera: «non può essere l’appartenenza a un gruppo più importante dell’appartenenza alla Chiesa». E così, accompagnata da queste parole, lascio la sala anch’io, grata per le persone incontrate, le parole ascoltate, l’esperienza vissuta.